domenica 17 gennaio 2016

Mummie, migrazioni e gastriti

Che la vita nell’età del Rame fosse dura, lo immaginavamo già.

Che la famosa mummia nostrana Ötzi non fosse morta per cause naturali, anche. E ci faceva già pena pensare a questo pover’uomo in mezzo alle Alpi, quasi senza vestiti, sicuramente con poco cibo a disposizione, conquistato con grande fatica.

Quello che non potevamo immaginare era che, oltre a tutte le sue fatiche quotidiane, avesse anche la gastrite.

Il corpo della cosiddetta Mummia del Similaun è stato ritrovato nel 1991 sulle Alpi Venoste da una coppia di escursionisti, non lontano dal confine con l’Austria, in territorio altoatesino. Ötzi sarebbe vissuto circa 5000 anni fa, nell’Età del Rame, una tappa intermedia tra il Neolitico e l’Età del Bronzo. Volendo semplificare, Ötzi era un uomo preistorico. E da quel lontanissimo periodo ancora ci parla e ci insegna moltissime cose.

E’ di pochi giorni fa la notizia che nel suo stomaco è stato ritrovato il batterio Helicobacter pylori, responsabile di disturbi allo stomaco come ulcera, gastrite, dispepsia e via dicendo.


Helicobacter pylori


L’Helicobacter è un microrganismo che vive bene nel nostro stomaco, fatto che per molti anni è sembrato piuttosto strano. Le cause di disturbi come quelli sopra citati, infatti, non si credeva fossero associabili ad un batterio, dato che l’ambiente acido e mucoso dell’interno di questo organo non è esattamente un paradiso. Tuttavia i nostri piccoli “amici” trovano sempre un modo per rendersi la vita più facile e, nel caso dell’Helicobacter, esso riesce ad infilarsi tra gli strati mucosi dello stomaco e ad installarsi lì, iniziando la produzione di enzimi che sono indispensabili per la sua sopravvivenza e lo mettono al sicuro dall'acidità dei succhi gastrici.
Tuttavia, perché tanto clamore per la gastrite dell’uomo dei ghiacci?

Il recente studio pubblicato su Science è partito dalla ricostruzione del genoma dell’Helicobacter ed ha identificato la sua origine. Il ceppo ritrovato nello stomaco di Ötzi è lo stesso presente oggi nelle popolazioni dell’India e dell’Asia sud orientale. Il batterio che si trova ai giorni nostri negli europei è, invece, un ibrido tra i ceppi asiatici e quelli nord africani.
Finora gli scienziati che si occupano di migrazioni avevano ipotizzato che l’unione di questi due ceppi fosse stata contemporanea all’unione degli uomini primitivi provenienti dall’Asia con quelli provenienti dal Nord Africa. Questo evento veniva fatto risalire a 10.000/50.000 anni fa.

Ricordate, però, che cosa abbiamo detto qualche riga fa? La nostrana mummia del Similaun risale a circa 5000 anni fa e la sua gastrite era causata da un batterio non ancora ibrido, ma derivante dal puro ceppo asiatico. In questa ottica l’arrivo della popolazione di origine africana in Europa e la sua successiva fusione con quella di origine asiatica sarebbe avvenuta in tempi molto più recenti di quello che si è pensato fino ad oggi.

Avreste mai pensato che un piccolo batterio potesse aiutare a far luce sui nostri lontanissimi avi e sui loro flussi migratori? 

domenica 21 giugno 2015

Il vino dell' Ultima Cena

Se pensiamo a Leonardo e alla città di Milano è piuttosto normale che alla nostra mente arrivi quasi immediatamente l’immagine dell’Ultima Cena, lo spettacolare affresco conservato nel refettorio della Chiesa di Santa Maria delle Grazie.
Da poche settimane è possibile collegare il genio di Leonardo anche alla sua Vigna, riportata all’antico splendore ed aperta in occasione di Expo 2015.
Leonardo vignaiolo? Ebbene sì, ovviamente non per necessità, piuttosto per hobby.
Nell'anno 1498, infatti, Ludovico Il Moro gli concesse la proprietà di una vigna di 16 pertiche (più o meno rettangolare), larga 60 metri e profonda 175 metri (poco più di un ettaro).
La vigna si trovava nei giardini alle spalle della chiesa che tuttora ospita il Cenacolo, dietro alla Casa degli Atellani.

Cortile interno della Casa degli Atellani

Nel 1500, tuttavia, le truppe del re di Francia sconfissero Il Moro e Leonardo dovette lasciare Milano.
Decise allora di affittare la sua vigna al padre del suo allievo prediletto Gian Giacomo Caprotti, detto il Salaì. Nel tempo, Leonardo rimase sempre molto legato al suo ettaro di terra, tanto da citarlo anche nel suo testamento, lasciandolo in eredità ad un suo fedele servitore e proprio al Salaì.
Questa volta non si può citare il famoso “33, 33 e 33” del celeberrimo film “Non ci resta che piangere”, piuttosto ci dovremo adattare ad un fifty fifty.

La vigna cadde presto nell’oblio, le sorti alterne degli abitanti della casa e la sua posizione non le furono propizie. Nel 1919 l’architetto Portaluppi iniziò la ristrutturazione della Casa degli Atellani e, nello stesso periodo, l’architetto Luca Beltrami documentò l’esatta posizione di quel che rimaneva della vigna. Una benedizione per quegli stessi filari che verranno, negli anni successivi, seppelliti dalle macerie durante il bombardamento di Milano della Seconda Guerra Mondiale.

Perché Rifiuto Biologico si interessa della Vigna di Leonardo se ormai è sepolta nell’oblio? Perché non lo è più!
Grazie ad una collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e per volontà della Fondazione Portaluppi e degli attuali proprietari della Casa degli Atellani, è stato possibile recuperare i camminamenti della vigna. Dagli scavi sono stati recuperati dei campioni di materiale organico appartenenti alla specie Vitis vinifera.
Abbiamo già detto in passato che il DNA di ognuno di noi ci identifica quasi senza ombra di dubbio e che nel nostro corredo genetico abbiamo anche l’impronta delle generazioni passate. Lo stesso succede per tutti gli esseri viventi, che siano piante, animali e batteri.
Grazie a dei marcatori genetici, che possiamo immaginare come piccole bandierine rosse, possiamo ricostruire la nostra provenienza oppure, nel caso di campioni dei giorni nostri, capire da chi discendono.
Alcuni geni, infatti, si tramandano di generazione in generazione, ovviamente mutando nel corso della trasmissione, come dev’essere.
Senza scendere nel particolare, gli studi che sono stati svolti sui campioni organici di vite ritrovati hanno reso possibile il confronto con alcuni vitigni odierni. Tra molti, il vitigno di Leonardo è molto vicino ad un particolare tipo di Malvasia: la Malvasia di Candia Aromatica, molto popolare all’epoca.

La Vigna

Gli scavi nel sito, rinvenuto anche grazie alla localizzazione fatta da Beltrami negli anni 20, sono stati supportati dalla perizia del pedologo (non è una parolaccia, tranquilli) Rodolfo Minelli che ha aiutato a preparare il terreno dove sarebbero state accolte le nuove piante di vite. Su un binario parallelo, la genetista Serena Imazio e il professor Attilio Scienza, esperti in DNA della vite, hanno contribuito, con la loro competenza pluriennale nel campo, a ricostruire il profilo genetico della vite procedendo a dei confronti tra i campioni rinvenuti nella vigna e i profili relativi a varietà già coltivate ai tempi di Leonardo.


Una volta risaliti al vitigno, sono stati fatti nascere in serra 60 esemplari di vite, in seguito portati nel giardino della Casa degli Atellani e lì piantumati per ricostruire la Vigna di Leonardo nel luogo in cui essa era sempre esistita.

Un piccolo miracolo per noi, dunque, poter vedere la vigna come se fossimo ancora ai tempi della realizzazione del Cenacolo. Una grande occasione per poter assistere alla crescita di un vigneto come se fossimo lì insieme con uno dei più grandi geni mai esistiti.